Dopo una telefonata di presentazione, un mio lettore mi chiese di potermi inviare delle note e commenti sui miei scritti, via e-mail, cosa che destò la mia curiosità. Acconsentii, e vi presento qui un sunto dei diversi carteggi che seguirono, con l’intento di far cosa gradita anche ai tanti amici e colleghi dell’AIACE che in tante opportunità me lo chiesero.


Salve, ho letto qualcuno dei suoi libri e li ho trovati interessanti. Vorrei farle però qualche domanda su certi concetti che non mi sono stati chiari e aggiungere qualche commento, se possibile.

Ma certo. Continui pure.

Ho notato che lei si è soffermato su svariati argomenti apparentemente senza alcun nesso, e volendo mantenere l’ordine che lei stesso si è imposto, mi rivolgo quindi alla sua attenzione sui megaliti dell’antichità. Lei si soffermò, tra gli altri, sui triliti di Baalbek in Libano, del peso di circa duemila tonnellate l’uno, assicurando come professionista che nessuno può aver sollevato detti massi e averli trasportati per qualche chilometro, per poi piazzarli perfettamente allineati sul muro in una sorta di tempio o locale. Eppure, quelle operazioni furono fatte.

Innanzitutto, le voglio dire che esiste un filo conduttore tra gli argomenti da me considerati. Ho cercato (e ovviamente non finirò mai la mia opera) di analizzare il maggior numero possibile dei fatti della vita, normalmente supposti banali o non degni d’ulteriori esami, alla luce della pura logica. Il pensiero guida è sempre quello di porre e pormi delle giuste domande piuttosto di dare e darmi delle mediocri risposte. È chiaro che così facendo mi sono scontrato con innumerevoli barriere alzate da luoghi comuni e/o pigrizie mentali presenti nel pensiero comune. Perché smuovere delle acque che ci hanno permesso di vivere quietamente per secoli o millenni? La risposta è semplice: nella mia vita non ho fatto altro che il ricercatore scientifico, e questa molla non si esaurisce con l’età, anzi, essa si acuisce con l’acquisizione di nuove inquadrature. La vita mi appare come un caleidoscopio che ad ogni mossa ti presenta delle immagini diverse, ma sempre come variazioni dello stesso tema. E così procedo, rimandando momentaneamente gli argomenti che riguardano la branca fondamentale della spiritualità e del trascendente. Questo esercizio consiste nel tentare di sfrondare la mole d’inesattezze e banalità circolanti soprattutto negli ambienti pseudoscientifici. Prenda come esempio le teorie strampalate che continuano ad apparire sulla costruzione delle Piramidi di Giza, e mi consenta di non addentrarmi nell’argomento. L’ho fatto in qualcuno dei miei scritti, ma qui mi richiederebbe una stesura superiore alla dimensione di questo intero dialogo.
Scendendo alla sua domanda specifica, le riferisco che sul tema dei megaliti ho detto che nessuno può aver sollevato il loro peso, come nemmeno potremmo farlo facilmente noi oggi con la nostra tecnologia. Lei cita Baálbek, ma dovremmo aggiungere altri esempi mirabili come quelli della Fortezza di Sacsayhuamán in Peru, e tanti altri nelle Americhe e fuori. Muri costruiti con dei pezzi di roccia, perfettamente sagomati, e pesanti fino a 300 tonnellate. A proposito, non è detto che le civiltà del paleolitico e neppure quelle del neolitico facciano parte della nostra preistoria. Tra noi e loro manca qualche tassello.

Le ricordo inoltre che il peso di un corpo, come grandezza fisica, è dato dal prodotto della sua massa per l’accelerazione della gravità presente sul posto in cui esso si trova. Dicevo che gli antichi avrebbero potuto spostare la massa di quei corpi invece che il loro peso, dato che della massa la fisica non ci dà alcuna definizione concreta. In altre parole, nessuno sa cosa sia la massa, come nessuno sa cosa sia la materia (ne sappiamo qualcosa in più di quanto basta per approfittare della instabilità di qualche isotopo). A questo aggiungerei la nostra misconoscenza sul campo gravitazionale. Di esso sappiamo valutarne soltanto gli effetti, mentre che per altri campi, come quello magnetico ed elettrico, siamo in grado di interagire con l’oro e persino di bloccarli, date le nostre conoscenze sul posizionamento e caratteristiche delle loro linee di forza.



Le ricordo inoltre che il peso di un corpo, come grandezza fisica, è dato dal prodotto della sua massa per l’accelerazione della gravità presente sul posto in cui esso si trova. Dicevo che gli antichi avrebbero potuto spostare la massa di quei corpi invece che il loro peso, dato che della massa la fisica non ci dà alcuna definizione concreta. In altre parole, nessuno sa cosa sia la massa, come nessuno sa cosa sia la materia (ne sappiamo qualcosa in più di quanto basta per approfittare della instabilità di qualche isotopo). A questo aggiungerei la nostra misconoscenza sul campo gravitazionale. Di esso sappiamo valutarne soltanto gli effetti, mentre che per altri campi, come quello magnetico ed elettrico, siamo in grado di interagire con l’oro e persino di bloccarli, date le nostre conoscenze sul posizionamento e caratteristiche delle loro linee di forza.

Sì, ricordo di aver letto i suoi appunti in merito, come pure la sua menzione sulla possibilità di servirsi del pensiero per la bisogna.

Chiaramente. Si tratta di un interessante concetto tramandato dagli antichi. Non di usare l’energia del pensiero in quanto tale (essa appartiene al gruppo delle energie deboli), ma d’impiegare qualche proprietà che si annidi tra i meandri della nostra psiche, che ci permetta di accedere, scatenare e pilotare la potenzialità di un altro tipo di energia esistente nell’universo. Qualcosa di simile al presupposto di Tesla di servirsi dell’energia contenuta nella ionosfera, eccitandola con delle opportune onde elettromagnetiche e ricevendo la sua risposta amplificata mediante apposite antenne rivolte verso lo spazio. L’impiego della nostra volontà come fattore scatenante della levitazione, costituisce da sempre un miraggio perseguito e perseguibile. Lo sapevano anche i fachiri dell’India.
Mi permetta di aggiungere un dettaglio d’interesse. La civiltà che si occupò dei megaliti, in possesso di qualche informazione esistenziale che ci sfugge, impiegò soltanto delle pietre (da lì la denominazione dell’era in questione) e mai dei metalli, sebbene fossero pure loro presenti. Quale caratteristiche particolari hanno le pietre? Posseggono una struttura cristallina (anche quelle amorfe). Ebbene, negli esempi citati non si riscontrano dei tagli o brutalizzazioni che denoterebbero l’impiego di arnesi meccanici come accade in tutte le nostre sculture. I bordi sono soavi e dolcemente contornati, pur essendo composti da svariate faccettature, alle volte inspiegabili e persino innecessarie (perché, se dovevano erigere un muro non si sono fermati alla semplice ed efficace forma dei parallelepipedi?). Come pure in altre loro realizzazioni, vedi per esempio le teste negroidi (non c’è traccia di presenza di africani nelle Americhe di quei tempi che possano aver servito da modello), ritrovate a Las Mesas in Messico.

Mirabili sculture ricavate da massi di basalto di oltre venti tonnellate cadauna (se ne sono trovate una decina), il cui grado di levigazione della superficie richiamerebbe l’uso di attrezzature meccaniche incompatibili col grado di sviluppo tecnologico di tali civiltà a quei tempi. Tutto fa pensare che dette opere siano state prodotte tramite lo scivolamento dei loro cristalli costitutivi, che avrebbe dato luogo ad un passaggio transitorio dallo stato solido ad uno pastoso e modellabile. Tutto ciò implica un’interazione con la forza di coesione che mantiene stabile la struttura atomica dei cristalli che compongono le pietre impiegate. Le aggiungo per l’ennesima volta che noi non conosciamo l’essenza intima della materia.

Il modello dell’atomo di Bohr è sempre valido, ma non esclude altre proprietà a noi ignote, come pure i principii di Euclide o la legge di Newton non perdettero validità quando si entrò nella fisica relativistica. Un nuovo modello dell’atomo dovrà comprendere e completare al meglio quello esistente, includendo delle proprietà della materia forse già note in modo empirico e ora non più disponibili, senza il bisogno di rinnegare quello esistente.
Come esercizio di quanto detto, possiamo immaginare che la completa conoscenza della fisica dell’Universo equivalga a una pizza. Allora le nostre conoscenze, anche alla luce delle nuove teorie, altro non rappresenterebbero che un morso. Rimanga tranquillo, gli studiosi non rimarranno sotto impiegati per un lungo pezzo..
Aggiungo che non fa differenza se le civiltà megalitiche siano state autoctone o aliene. La realizzazione dei loro prodotti ci conferma che essi possono essere realizzati, seppure mediante metodi e conoscenze a noi tuttora ignoti.

Lei si è riferito alla nostra psiche. Si può soffermare un attimo sull’argomento?

Lo faccio volentieri, evitando però di entrare nel campo psico-medico che non mi appartiene. Portando al limite le diverse considerazioni sul rapporto tra la nostra psiche ed il nostro corpo fisico, appaiono innumerevoli vie d’interpretazione. Una possibile ci dice che si tratti di due identità separate ma interdipendenti. La psiche sarebbe il vero essere che pilota e alloggia in seno ad un apparato semovente che sarebbe il nostro corpo. Ho ascoltato molte mamme narrare che ad un momento della loro gravidanza “sentirono” che qualcosa fosse penetrata nel loro corpo, e lo percepirono come un anomalo comportamento del feto che alloggiavano. Quelle credenti negli aspetti spirituali lo associano all’ingresso dell’anima nel corpo del proprio figlio. Altre lo ritengono come la pressa di possesso del corpicino da parte del vero essere che nascerà. Questa posizione ci porta verso la teoria della reincarnazione e la conseguente immortalità delle anime. Cioè, un corpo fisico al servizio di un ente immateriale. In supporto a questa tesi notiamo che l’organismo dei viventi funziona in modo automatico, pur trattandosi di una macchina biologica altamente complessa. In altre parole, che non ha bisogno di una supervisione funzionale da parte del proprio ego. Quindi in noi abiterebbe un ente immateriale con degli scopi da precisare. Inutile rimarcare l’influenza della psiche sui nostri comportamenti. Essa appare come il vero pilota nei nostri contatti con quanto ci circonda. Il dualismo permane.
In una occasione scrissi una noticina sul significato dei nostri sogni in senso fisico ironico. Qualcosa di questo tipo: quando la nostra macchina va in riposo per rigenerarsi e allenta il controllo su sé stessa, la psiche s’impossessa della sua sala controllo e penetra nella banca dati dell’automa; acquisisce degli stralci dalla memoria del vissuto, e con essi architetta uno sketch che ci proietta in un sogno, avente tutte le caratteristiche della realtà, compresi informazioni veritiere di vita vissuta, suoni e colori, e alle volte con delle visioni frutto della fantasia. Molto speso si tratta di scene liete, ma sovente anche angosciose fino all’estremo. Probabilmente essa si diletta con dei fuori programma.
È inoltre noto che essa si rapporti col mondo esteriore per delle vie tutt’altro che ortodosse, e tutto ci chiama a pensare che la psiche alloggi nel nostro cervello attuando come una entità autonoma.

Si tratta di una sua posizione. Pure sulla sua teoria sull’origine della vita avrei delle perplessità. Particolarmente quando si riferisce alla possibile esistenza di un programma contenuto in seno alla materia stessa.

Certamente. Si tratta di quello che io chiamo l’Algoritmo Creatore. La complessità della vita (anche nelle sue forme elementari) è tale da rifiutare la sua comparsa attraverso l’aggregazione casuale degli atomi che compongono le diverse sostanze chimiche involucrate. Affermare il contrario comporta un miraggio ed un eccesso di scientismo. Ogni manifestazione della vita, con gli attributi che la caratterizzano (nascita, sviluppo, riproduzione e morte), implica l’esistenza di una struttura tramandabile del tipo DNA, per rudimentale che fosse stato agli origini. La nascita di ogni essere implica la ristampa di detto messaggio, molto aperto ad ogni tipo di modifica o alterazione, pur mantenendo il suo nocciolo duro d’informazioni immutabili. La tesi sulla semina di detto programma dall’esterno del nostro pianeta è insostenibile, perché rimanda a domandarsi chi abbia seminato i seminatori.
Queste informazioni non possono che risiedere nella materia stessa, o nell’energia ad essa equivalente. S. Hawking accenna a qualcosa del tipo pure senza addentrarsi nell’argomento. Trattando di giustificare il Big Bang, questo esimio fisico asseverò che le “leggi naturali” sarebbero preesistenti alla nascita dell’Universo stesso. Quindi il programma della vita va ricercato nei meandri di qualcuna delle forme di energia che ci avvolgono, note o da scoprire. Da esse trasse origine la materia, unico testimone ed elemento disponibile al momento della comparsa della vita. Detto programma attese per oltre cinquemila milioni di anni finché le condizioni al contorno sul nostro pianeta fossero quelle da esso previste, a mo’ di una spora latente. La stessa situazione dev’essersi presentata (o si presenterà) in qualsiasi altro pianeta o corpo astrale dell’universo (essendo pure essi composti di materia). Altro è assicurare che la vita così comparsa possa perdurare nel tempo, non conoscendo l’evoluzione possibile delle condizioni al contorno ad essa necessarie.
Dicevamo della possibilità che la vita si presenti su altri pianeti. Se ciò accade è da supporre che gli esseri lì nati somiglino molto a quelli della nostra fauna e flora, provenendo dallo stesso messaggio creatore presente nella materia.
Analizzando questi argomenti sorge una domanda impellente: è possibile che nessuno dei grandi pensatori della fisica non abbia trovato il tempo di dire la sua al riguardo?

Giusto. Si tratta di una buona domanda. Ché sia stato il timore di legare il proprio nome a qualche teoria che potrebbe rivelarsi poi falsa? Comunque le volevo chiedere anche qualche ragguaglio sul suo assunto riguardante l’apparire di nuove specie viventi.

Certamente. L’Algoritmo che seminò il messaggio della vita tende inesorabilmente a tramandare verso il futuro qualche informazione a noi ignota, e la ristampa ad ogni atto riproduttivo di tutte le specie, ivi compresi i vegetali. La somiglianza tra il DNA di tutte le specie ci induce a pensare che esso, non conoscendo le condizioni al contorno che potrebbero subentrare ad ogni tentativo di semina, favorisca il fiorire di esseri con un bagaglio molto diverso delle proprie necessità di sussistenza. Le nuove specie compaiono per mutazioni delle precedenti (abbiamo menzionato la vulnerabilità del DNA), e sopravvivono se tollerate dal habitat in cui vengono a trovarsi. Spesso si tratta dello stesso habitat a modificare le caratteristiche dei codici genetici esistenti (evoluzione e adattamento delle specie), oltre che all’incidenza delle variabili fisiche del contorno. Da non trascurare le mutazioni provocate dagli errori di stampa parlando dei grandi numeri.

Anche la specie Homo potrebbe subire delle mutazioni?

Perché no? Ma sia chiaro che le nostre attuali caratteristiche come numero d’individui e qualità, introducono dei forti dubbi sulla probabilità che esse sopravvivano. Sicuramente saranno già avvenute ed avverranno, per poi vedersi fagocitare dal volano costituito dalla massa dei nostri simili. Perché attecchiscano occorrerebbe che esse avvengano in una nicchia ristretta di abitatori di qualcuna delle poche oasi nascoste ancora esistenti. La mancanza di concorrenti “normali” consentirebbe loro di tramandare una eventuale mutazione. Sarebbe anche il caso di possibili futuri viaggiatori dello spazio, fortemente soggetti a radiazioni di ogni tipo e totalmente isolati dal branco originale. Essi apparirebbero come dei seminatori, in un caso totalmente dissimile dal nostro. In quel caso la vita apparirebbe col suo esempio superiore, e non come noi che proveniamo da una ameba.
La vita sulla terra è condannata a scomparire seguendo una delle varie strade possibili, ma ce ne una ineluttabile che io chiamo la morte cosmica. Essa per noi è più importante sotto il punto di vista metafisico o filosofico che su quello pratico, e consiste nella scomparsa dell’intero sistema solare al momento dell’immane deflagrazione che seguirà la trasformazione del nostro sole in una nana bianca. Tutto questo potrebbe essere già accaduto od accadrà in qualcuno degli innumerevoli sistemi solari presenti nel Cosmo.

Mi dica, dato che ha parlato del tema, secondo lei che fine farà l’Universo?

Non ho la formazione adeguata a proporre delle cosmogonie, ma la posizione accennata da R. Penrose mi alletta per il suo contenuto logico. È dimostrato che i buchi neri crescono continuamente divorando materia ed energia dal loro intorno. Questo processo potrebbe continuare facendoli crescere e moltiplicarsi, arrivando ad una fase in cui inizieranno a fagocitarsi a vicenda. Pure questa fase potrebbe continuare fino a che ne rimangano soltanto due a contenere tutto l’universo preesistente. A questo punto, come risultato di una lotta immane, lo scontro tra loro finirà in una colossale deflagrazione che trasformerà il tutto in un mare di sola energia d’incalcolabile livello, la quale inizierà dopo a raffreddarsi dando luogo ad un nuovo Big Bang. Questa cosmogonia presenta la caratteristica postulata da Hawking sulla preesistenza delle leggi della natura, dato che lo scontro tra i due giganteschi buchi neri avverrebbe durante il suo pieno esercizio formale.

Se mi permette, vorrei approfittare ancora della sua disponibilità chiedendole perché lei considera la placenta femminile come una stampante.

Tutto nacque dall’aver impiegato il termine “ristampa” per gli esseri nati dal processo di riproduzione di ogni vivente. La somiglianza di funzionamento tra la placenta e una stampante 3D è a dir poco sbalorditiva. Sono entrato nell’argomento analizzando il funzionamento di quella delle donne umane, ma subito dopo dovetti estenderla a quella delle femmine di tutti i mammiferi, per finalmente accettarla come l’effettivo meccanismo della produzione di un nuovo essere in tutti i viventi, considerate le innumerevoli varianti del caso (vedi gli ovipari).
Le femmine di tutte le specie sono le sole a possedere la capacità di generare un nuovo essere e adempiere, mediante il meccanismo della riproduzione sessuale (in tutti i casi), ai dettami contenuti nel messaggio dell’Algoritmo Creatore. Il contributo dei maschi è solo un intervento necessario, apportando loro la propria quota parte di geni personali alla struttura del genoma del figlio che nascerà. Poi non appaiono più necessari.
La placenta viene generata sin dalle prime moltiplicazioni cellulari dell’ovulo arrivato all’utero, per poi col passare del tempo aggrapparsi alla parete di quest’ultimo ed iniziare il rapporto approvvigionamento-costruzione, che nel caso di noi umani si protrarrà per nove mesi circa. Questo processo di costruzione, diretto dal DNA del feto, viene eseguito senz’alcun intervento attivo della futura mamma. La placenta usa i principi attivi che le occorrono pigliandoli dal torrente sanguigno che la ospita, e ritornando ad esso gli scarti della lavorazione. Non esiste, ne potrebbe esistere, un rapporto tra la placenta ed il cervello della ospite, dato che ciò potrebbe alterare il programma contenuto nel DNA dell’essere in costruzione. Le somiglianze tra figlio e mamma provengono dal contenuto cromosomico del feto e non dal lavoro esecutivo della placenta. Essa esegue pedissequamente il programma che l’ha generata, e viene scartata anche lei a lavoro ultimato.
Oggi si fa un gran parlare di utero in affitto od in prestito, ma questo (e senza alcun compenso) è quanto fanno le femmine da che il mondo è mondo: mettere il proprio utero a disposizione dell’Algoritmo. Se tutte le femmine della nostra specie si mettessero d’accordo ed attuassero uno sciopero di utero (alla Celentano), la vita si estinguerebbe da lì a poco. Argomento questo non opportunamente sbandierato come vessillo del femminismo nudo e crudo di qualche decennio fa.
Da quanto menzionato in precedenza si desume che i figli siano solo putativamente figli dei loro genitori (che fungono da strumenti). In realtà essi non sono che figli dell’Algoritmo Creatore, portando nella loro essenza l’impulso a volare fuori dal nido come unità indipendenti.
A tutto questo processo e lavorio va aggiunto il valore affettivo che per nostra fortuna si instaura tra genitrice e pargolo. Esso terminerà di modellare quanto eseguito dalla placenta, forgiando sin dall’origine la personalità del neonato. La placenta si limita a scrivere sull’ipotalamo dell’essere in gestazione un Manuale d’Istruzioni che costituisce nient’altro che il suo “istinto”.
La placenta premia la gestante coprendola con un manto ormonale che la preserva di buona parte delle malattie comuni. Ella vive, di norma, uno stato di grazia durante tutta la gestazione. Tutto quanto come salvaguardia della sua alta funzione generatrice, e propedeutico anche alla sua buona disponibilità per una prossima gravidanza.
In questo momento mi cammina sulla scrivania una formica e la saluto identificandola col suo numero di serie 68.235…………428. Le invio un messaggio di presentazione augurandole buona fortuna, identificandomi col mio numero di serie 358.416…………..723.

Quindi tutti gli esseri viventi sono chiamati alla riproduzione per tramandare il messaggio dell’Algoritmo?

Non tutti, o quantomeno non nella stessa misura. Le femmine hanno registrato sull’ipotalamo un vero richiamo. Esso punta alla loro completezza come madri. Ma non tutte l’ubbidiscono in egual misura. Il risultato dipende dal rapporto tra l’istinto ed il proprio cervello e da esso dipenderà l’inclinazione di ogni donna verso la maternità. Le femmine delle specie inferiori non dispongono di questo tipo di scelta. I maschi, in linea di principio, non ce l’hanno affatto; loro si accostano all’accoppiamento per il semplice piacere sessuale. Questo piacere costituisce il meccanismo escogitato dall’Algoritmo per assicurarsi la continuità delle specie e la conservazione del suo messaggio. Come prova ne valga la complessità degli apparati genitali di entrambi i sessi. Se avesse puntato solo sulla fecondazione, esso avrebbe potuto immaginare dei meccanismi ben più semplici. La complessità degli apparati è dovuta all’intenzione di far provare loro il massimo di godimento durante la fecondazione stessa. Un richiamo alettante come la distribuzione di figurine agli infanti degli asili per sollecitare la loro attenzione.

Appare assai chiaro. E cosa mi può dire sui suoi appunti concernenti la posizione del Homo nell’Universo?

È pensabile che sin dal momento in cui il Sapiens apparve sul pianeta abbia impiegato la propria intelligenza acquisita per interrogarsi sui fenomeni atmosferici e vulcanici che lo attanagliavano. Trascorso il dovuto tempo avrà tentato di associare dei numi a tali eventi, immaginandone dei buoni e dei cattivi. Dopo altro tempo, avrà tentato di guadagnarsi i loro favori e di evitare le loro ire. Nacque così il politeismo, foriero d’illuminazione e barbarie. L’arrivo del monoteismo significò una vera rivoluzione, dato che in un solo ente bisognava associare i concetti del bene e del male. Per evitare di appioppare le negatività della vita a quell'ente creatore (buono per definizione), si dette spazio al libero arbitrio, secondo cui risulta che sia l’uomo stesso a generare i propri mali, chiudendo così l’equazione dell’esistenza.
Altri, più pragmatici, si misero a speculare sull’Universo scostandosi dagli aspetti terreni. Si arrivò così a postulare un suo creatore, e come se non bastasse si stabilì il momento e il modo della sua creazione, nell’intento di fugare ogni dubbio su questo pesante ignoto. Tutto risolto. Adesso che conosciamo ogni dettaglio possiamo vivere tranquilli.
Ma una cosa fuggì a tanto sapere: lo scopo del Creato. In altre parole, cosa stia a fare tutto questo complesso marchingegno che ci comprende e ci avvolge. Appare semplicistico supporre che esso sia stato creato con tanta fatica soltanto per riempire le nostre notti romantiche, non crede?

In amicizia, Armando Broggi