Da quasi un anno aperta al pubblico l'area sacra di Largo Torre Argentina, a qualche passo dal luogo dell'assassinio di Giulio Cesare, non è alla portata di quanti, visitandola in cerca di un selfie credano di poter associare il proprio profilo Facebook al celebre: tu quoque Bruti, fili mii. La parte accessibile degli scavi è solo quella dei quattro templi di età repubblicana (A,B,C e D: Giuturna, Fortuna huiusce diei, Feronia e Ninfe) che occupano l'ala orientale dell’area; sul lato opposto, rovine di muri e colonne vagano nel sottosuolo, con la sola compagnia di una colonia di gatti in libera uscita (colonia felina di T. Argentina, la più antica di Roma). Ed è lì che si cela (serbando un po' del suo mistero) la più celebre scena di delitto nella storia romana. Unico indizio: un alto pino che svetta dalle rovine fin sulla trafficata strada che costeggia il teatro Argentina (nel XV secolo qui risiedeva un dignitario di Papa Alessandro VI, nato a Strasburgo, in latino Argentoratum). E segna il limite ove sorgeva la curia di Pompeo, di cui è visibile il retrostante muro di tufo e forse anche la la nicchia della monumentale statua del generale, che accoglieva i senatori nel vasto complesso eretto per marcare il suo consolato nel 55 a.C (teatro/porticato/tempio di Venere).

Con questa opera, Pompeo sembra aver raggiunto un duplice obiettivo: significare la propria vicinanza al Senato  come console (carica condivisa con Crasso)e al contempo la presa di distanza fisica da Cesare, appena riconfermato proconsole nelle Gallie per altri 5 anni. 7 anni dopo, nel bel mezzo della guerra civile, la situazione si ribalta a favore di Cesare. Egli infatti era padrone a Roma e vittorioso in Grecia, a Farsalo, mentre Pompeo. che li’ aveva subito una cocente sconfitta, era fuggito ignominiosamente per mare in Egitto, dove fu tradito e assassinato dai sicari di Tolomeo XIII , appena sbarcato a Pelusium (porto fluviale sul delta del Nilo). D’altra parte, come in una tragedia greca, la fortuna abbandona Cesare quattro anni dopo Farsalo. Sembra quasi che Pompeo volesse prendersi la rivincita, se è vero che Cesare cadde trafitto dai pugnali dei congiurati ai piedi della statua del rivale. Nella  "Vita di Cesare", Plutarco descrive cosi’ la scena: "Cesare si accasciò contro il piedistallo su cui si trovava la statua di Pompeo. Era intriso di sangue, tanto che sembrava che Pompeo stesso dirigesse la punizione del rivale che giaceva ai suoi piedi". Lo storico greco sottolinea anche che Cesare cadde sul pulpito sotto la statua, mentre i seggi dei senatori erano su gradini bassi. Di fatto, la morte violenta alle idi di marzo fece rincontrare nella curia pompeiana i due rivali della guerra civile. Infatti, per ironia della sorte, Cesare aveva fatto un sacrificio nel tempio in onore di Pompeo, poco prima di entrare nel Senato, atto che gli fu letale. Sembra il  monito di un destino crudele e vendicativo che ancor oggi può incombere su chi veste i panni intercambiabili di dittatore e liberatore del proprio popolo.

L'archeologo A. Carandini ha ricostruito dettagliatamente la posizione della curia di Pompeo nel suo Atlante di Roma antica; in particolare, nelle tavole 221 e 223, la mostra a destra del quadriportico tra il teatro e il Tempio repubblicano della Fortuna. Il muro e la nicchia visibili dall'alto della strada costituiscono il retro della curia, che si estende anche sotto la stessa strada dove si trova la stazione degli autobus. L'archeologo esorta quindi le autorità competenti a estendere gli scavi della curia per renderla completamente accessibile ai visitatori. Quanto all'imponente statua di Pompeo, la sua riscoperta in una cantina non lontana dall'omonimo teatro ha dell'incredibile. Nel 1553, all'epoca di Papa Giulio III, la statua rischiò di essere decapitata in una disputa legale tra i proprietari degli edifici  sotto cui era stata ritrovata. Fu infine acquistata nella sua interezza dal cardinale Capodiferro, che la collocò nel suo palazzo, successivamente passato alla famiglia Spada. Oggi, Palazzo Spada è sede del Consiglio di Stato e al suo interno si trovano l'omonima galleria e la sala delle riunioni del Consiglio, nota anche come sala di Pompeo, dove viene nuovamente omaggiata la sua statua, alta quasi tre metri e in posa eroica. Pochi anni dopo le Idi di Marzo, il suo erede e figlio adottivo Ottavianos’impadronì' della scena del crimine, rimuovendo la grande statua di Pompeo e facendo murare la curia che divenne "locus sceleratus", un luogo infame, tanto da essere trasformato in latrina, come riporta Cassio Dione. Infine, nel 29 a.C., la nuova Curia Julia fu completata e inaugurata da Ottaviano. Si tratta dell'edificio in mattoni che si può vedere ancora oggi accanto al foro di Cesare, di forma rettangolare con quattro pilastri esterni.

Breve flashback: Olanda nel 55 a.C. Dopo aver vagato per tre anni, spinti dalla pressione dei Suevi, le tribù germaniche degli Usipeti e dei Tencteri avevano raggiunto le regioni abitate dai Menapi alla foce del Reno, nell'attuale Olanda. I Germani, che si trovavano in una località non lontana dall'attuale città di Nimega, avendo saputo dell'avvicinarsi dell'esercito romano, decisero di inviare ambasciatori a Cesare, per chiedere al generale il permesso di insediarsi in questi territori, offrendo in cambio la loro amicizia. Gli ricordarono il motivo per cui erano stati costretti a emigrare e il loro valore in battaglia, dove si consideravano secondi solo ai Suevi. Cesare rifiutò loro il permesso di occupare territori in Gallia. Consigliò loro di riattraversare il Reno e di occupare i territori di popoli amici, gli Ubi (sulla destra del fiume, presso Colonia). Fu quindi stabilita una tregua per raggiungere un compromesso. Tuttavia, durante la tregua, i Germani incontrarono uno squadrone di cavalleria gallica alleato dei Romani, lo attaccarono e lo misero in fuga. Cesare li accusò di non aver rispettato l'accordo e così, quando gli ambasciatori di U e T si recarono da lui per giustificarsi, li fece arrestare. Poi, con una mossa fulminea, caricò l'accampamento nemico, massacrandolo, prima di farlo fuggire verso la confluenza dei fiumi Reno e Mosa.

Un altro aspetto della complessa figura di Cesare come stratega militare sembra scontrarsi con l'etica moderna e i diritti umani nel contesto del diritto internazionale. L'accusa di genocidio rivoltagli da Catone il Giovane dopo il massacro dei Tencteri e degli Usipeti alla confluenza dei fiumi Mosa e Reno (l'attuale Waal), se fondata, potrebbe essere interpretata come l’hybris che provoco' la nemesi  messa in atto dai congiurati durante le famose Idi di marzo del 44 a.C.. Si tratta chiaramente di una deriva storica, a cui viene dato parziale credito in una mostra attualmente in corso al Museo H'ART di Amsterdam (già Hermitage). Già dal titolo ( Julius Caesar - I came, I saw, I met my doom ) essa presenta pretenziosamente aspetti inediti di Cesare, come la ricostruzione un po' fantasiosa del suo volto in 3D da parte di un'équipe del Museo di Antichità di Leida (2018). E rilancia i sospetti di crimini di guerra, sulla base di ritrovamenti di ossa di tribù germaniche, recanti tracce di colpi mortali, emersi negli anni '90 nel villaggio di Kessel-Lith vicino alla Mosa (nella provincia olandese del Brabante Settentrionale), risalenti alla metà del I secolo a.C., secondo la datazione al carbonio-14. Tutto ciò concorda con la descrizione del massacro contenuta nel IV libro del Bello Gallico e con altre fonti storiche dell'antichità (Plutarco, Appiano, Orosio), che parlano di un massacro di 400.000 vittime, tra cui donne e bambini, durante la ritirata delle truppe germaniche verso il Reno.

Se il punto di vista olandese è in parte comprensibile in un Paese che ospita la Corte Internazionale di Giustizia, l'enfasi posta sul massacro dei Germani, in seguito alla loro invasione della parte settentrionale della Gallia « comata »  (Francia settentrionale, Belgio e Paesi Bassi), è piuttosto anacronistica. Se è vero che il massacro presentato nella mostra fa parte della sezione dedicata alla penetrazione non solo delle legioni ma anche della cultura romana in Olanda, il focalizzassi su questo episodio, come esempio di guerra di sterminio, sembra una manifestazione di wokismo su eventi avvenuti oltre 2000 anni fa. Così facendo si corre il rischio di distorcere i testi storici a nostra disposizione. Lo sterminio di massa è infatti legato a un'ideologia politica basata su criteri razziali, che nel mondo romano erano assenti, così come non era affatto scontata la distinzione tra civili e soldati, essenziale per costituire un genocidio. A questo proposito, è stato osservato che le guerre antiche erano combattute tra due comunità nel loro insieme e che la sconfitta di una di esse portava alla punizione collettiva degli sconfitti. 

In conclusione, l’appassionato dell'antica Roma e della figura di J. Caesar, la cui vita riassume la gloria e la decadenza della Città Eterna, viaggiando tra Roma e Amsterdam, dal luogo del parricidio a quella terra di frontiera, dove avvenne il massacro delle tribù germaniche, non può convincersi che le Idi di marzo siano state la vendetta del destino sul conquistatore delle Gallie. 

Mia recensione su Tripadvisor (dicembre 23): «Sono reduce da una visita alla mostra su J.Caesar all’H'ART Museum (ex Hermitage) di Amsterdam, contenente 150 oggetti (busti, armi, monete etc), provenienti dal Museo Nazionale Romano, dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, nonché dai Musei Archeologici di Leibniz (D), Amsterdam e Leida (NL), assortiti di legende, schede introduttive e panoramiche delle complesse vicende militari-politiche e umane del divus Julius, più per la posterità che per i contemporanei. Chi la visita deve avere delle solide conoscenze storiche (oltreché linguistiche in NL o EN) per riconoscere nei momenti chiave della parabola terrena di colui che L.Canfora ha definito un dittatore democratico qualità e difetti che ne forgiarono gloria e rovina. Qui mi limito a riprodurre i busti esposti dei protagonisti dell'ascesa e caduta di Cesare. Vorrei sottoporre all'attenzione del gruppo la ricostituzione facciale in 3D del dittatore, presentata nel 2018 da 2 specialisti olandesi del Museo delle antichità di Leida, per confrontarla con quella di recente ricostituita in Italia, in seguito al ritrovamento di un busto di Cesare nel teatro di Terracina. Personalmente,  quella esposta all'H'ART mi sembra adombrarne la figura col sospetto di essersi macchiato anche in queste contrade di genocidio ai danni di popolazioni indigene inermi. Nella mostra ciò’ è documentato con la strage di Tencteri/Usipeti affiorata dai reperti ossei nel villaggio olandese di Kessel-Lith. Una tesi  del resto già sostenuta da Catone il Minore nel processo a Cesare davanti al Senato. Se è comprensibile il punto di vista olandese per uno Stato che ospita la Corte Penale internazionale, mi sembra più complesso e meno anacronistico il giudizio di L.Canfora, che di lui ha scritto: «in ogni momento e soprattutto in quelli decisivi, l’azione politica e militare di Cesare fu esposta agli esiti più divaricati. Ha via via rischiato di perdere tutto, soprattutto nel corso dell’interminabile conflitto conclusosi con la sua morte violenta».