Mi accingo a scrivere delle considerazioni su qualcosa avvolta, da sempre, da un alone che lo rende sfuggente e inafferrabile. Ciò forse dovuto alla sua immaterialità.

Innanzitutto, conviene fare una netta distinzione tra la variabile (t di tempo) che usiamo in matematica, in fisica ed in tutti gli eventi della nostra vita, e l’altra (T di Tempo) riconosciuta come Quarta Dimensione. Pura sinonimia la uguaglianza dei termini?

Riserviamo la prima alle disquisizioni scientifiche (alla base dell’analisi matematica che si centra sull’astrazione di far tendere detta variabile verso lo zero o verso l’infinito), e al divenire di tutti gli eventi della vita. Essa è basata sulla ciclicità degli eventi cosmici, giorno-notte, stagioni, e perché no pure sullo zodiaco. La sua misurazione e le unità che la compongono (dai nanosecondi agli anni-luce) si basa su di una infinità di marchingegni (orologi) che ci fanno presente il suo trascorrere, dalle clessidre ad acqua o sabbia degli antichi, fino a quelli atomici basati sulla frequenza di vibrazione degli atomi di una data sostanza.

Comunemente il tempo è assimilato al defluire di un fiume, dato che una volta trascorso non accetta un ritorno.Ed è questa la grandezza che gli umani impariamo a conoscere sin dalla nostra nascita e che dà il ritmo della vita a tutti i viventi. C’è pure posto per chiedersi come facciano a regolarsi quegli esseri che vivono nella profondità degli abissi marini o nell’interno delle grotte, dove non arriva la luce solare né le variazioni di temperatura che accompagnano normalmente il movimento rotatorio del nostro pianeta sul suo asse e su quello orbitale intorno al sole.

Sulla seconda variabile (T) dobbiamo dire che la sua promozione a Dimensione accanto alle tre grandezze fondamentali (altezza, larghezza e profondità) che definiscono i corpi, appare quantomeno artificiosa. Tanto da aprire le porte a innumerevoli supposizioni su possibili altre Dimensioni, multi-universi e a quanto di più aleatorio si possa immaginare. Persino a un aforisma intriso di logica, cavallo di battaglia di una mia anziana zia: “tutto è possibile in una dimensione sconosciuta”.

In modo succinto dobbiamo ricordare che Albert Einstein, nella sua Teoria della Relatività, si occupò per esteso del tempo t e del suo rapporto con lo spazio, individuando un complesso che denominò spazio-tempo per meglio precisare il comportamento dei corpi in movimento. La quarta dimensione T non appare nella teoria se non come corollario, ma il grande fisico la propose come una ulteriore dimensione e come tale fu accettata nel contesto della fisica, sebbene la menzionata Teoria non sia ancora entrata a far parte delle sue leggi.

Ai fini di meglio definire le caratteristiche dei corpi, invece che alla dimensione Tempo avrei optato per legare ognuno di essi alle coordinate assolute che identificano la sua posizione nell’universo.

Per comprendere e disquisire sul Tempo, sin dai classici, le sono state attribuite tre fasi o suddivisioni: passato, presente e futuro, sempre in riferimento al nostro rapporto con la realtà, sebbene a esse si debbano le interminabili estrapolazioni che le fanno apparire volatili e disponibili a essere manipolate ad libitum.

Del futuro va notata sin da subito la sua imponderabilità, la quale lascia il campo aperto all’immaginario di credenti, indovini e fantasiosi. Miriadi di pensatori di ogni disciplina si sono consumati in speculazioni metafisiche sul significato del futuro e sulla possibilità di farlo affiorare al presente, mediante previsioni o chiaroveggenze. Potremmo scrivere un trattato soffermandoci sulle metodiche mediante le quali si è intentato in passato di prevedere il futuro, supponendolo disponibile e a portata di mano. Dietro a questi voleri si cela la voglia di ogni mortale di conoscere in anticipo quello che sarà il loro domani, più o meno lontano, per trarre miglior profitto dalla conoscenza di quell’arcano, e regolare di conseguenza la propria esistenza. Allo stesso tempo numerose sono state le scuole che speculando sul mistero-futuro, postularono indirizzi filosofici inerenti al destino, lacerandosi nelle diatribe su determinismo e libero arbitrio. Non meno importanti furono le teorie sorte per spiegare lo “spazio” in cui le vivenze del futuro avrebbero trovato alloggio. Queste posizioni consideravano il futuro come lo svolgimento di qualcosa di scritto e inamovibile, dando luogo a una concreta e fatale predeterminazione denominata Destino.Come sappiamo, le maggiori pulsioni erano dirette verso l’aspetto pratico e l’uso diretto della presa in consegna di dette conoscenze (utilitarismo) , ma non mancarono scuole orientate verso qualcosa di più recondito come le “rivelazioni”. Si trattava della diffusione di notizie avveniristiche che, se non fossero state eseguite, avrebbero potuto arrecare indicibili danni all’umanità. Questa tecnica, seppure arcaica, affiora ancora di tanto in tanto. Le sue più importanti manifestazioni si sono avverate nel campo della fede e dei credenti, anche se non mancarono dei futurologi che scrissero le loro “centurie”, speculando e vaticinando urbi et orbi su quella parte del libro del futuro che si sofferma sui fatti che accadranno.

Senza addentrarci troppo nella dottrina, dobbiamo ricordare che le religioni hanno da sempre professato l’eternità della nostra componente spirituale (anima?), aggiungendo che certune arrivarono persino a postulare la resurrezione dei morti, alla fine del tempo t.

Volendo parlare dell’eternità, dobbiamo accettare che si tratti di qualcosa che esula dalle tre fasi o sottoclassi del Tempo (T) cui abbiamo accennato poco sopra. Infatti, essa si estende e sovrappone al passato, al presente e al futuro, dando luogo a qualcosa che ha molto di più a che vedere con il divino che con il concreto.

Sul Tempo al presente va ricordata la sua inconsistenza, dato che soltanto al menzionare qualche evento (come lo schiocco delle dita), esso appartiene già al passato. Il presente dev’essere inteso come un commento all’attualità tout-court; un dipinto panoramico sullo stato delle cose.

Una considerazione attuale sul Tempo la troviamo in meteorologia, quando vogliamo riferirci allo stato y caratteristiche del clima, e che adottiamo sinteticamente come la Meteo. In questa variante sul tema appare una sua visione coniugata al futuro. Si tratta delle sue previsioni. Esse sono il risultato di colossali programmi di calcolo numerico che si basano su delle misure rilevate da una miriade de stazioni di rilevamento climatico, sparse in tutto il pianeta. Detti modelli si basano su fatti accaduti nel passato, e questa è una delle ragioni per cui oggigiorno si rivelano meno precise di prima. Le variazioni climatiche attuali non hanno dei precedenti nei registri storici disponibili.

Ancora una volta, non ci rimane di concreto che il passato come registro indelebile di ogni evento accaduto, ed è per questo che consideriamo la storia come il suo archivio o banca-dati.

Dicemmo che è il Tempo (T), coniugato al passato, che contiene l’essenza della nostra esistenza. E allora, se vogliamo conoscere il nostro profondo in qualità di viventi, non dobbiamo fare altro che approfondire le nostre conoscenze su quelli che ci hanno preceduto. Per far ciò dobbiamo ricorrere al supporto dato dal tempo (t).

Tentando questo esercizio, il primo problema lo troviamo nella ricerca di elementi concreti che ci permettano di risalire dalle teorie ai fatti. Si tratta della datazione degli eventi e delle cose. Trascorso un dato tempo, le tracce scompaiono e allora, se insistiamo nella ricerca, siamo forzati a lavorare attraverso l’induzione e la deduzione. Dobbiamo reperire degli elementi che fungano come orologi in situazioni nelle quali essi non esistevano. Disgraziatamente la chimica inorganica non ci offre degli appigli: non è possibile dedurre da nessuna angolatura l’età delle pietre, dei sassi o dei minerali. Per evitarci di abbandonare la ricerca, ci arriva un assist dagli isotopi radioattivi, dei quali possiamo misurare il proprio decadimento e compararlo con quello dei suoi simili dei nostri tempi. Quello più noto e più accessibile risulta essere l’isotopo 14 del carbonio. Notevole scoperta la sua.

Il C14 è parte integrante dei composti organici e grazie a ciò lo troviamo negli ossi animali e nel legname di ogni tipo. Ma per servircene occorre che i campioni ritrovati abbiano mantenuto un accettabile stato di conservazione meccanica, altrimenti detto isotopo si sarà già trasformato in C14O2 e passato all’atmosfera.

Un esempio pratico lo troviamo nella datazione dei fossili degli umani appartenenti alla specie Sapiens o meglio ancora Sapiens Sapiens, e di qualche strumento o arnese in legno da loro fabbricato e impiegato.

E a questo punto dobbiamo rimarcare qualcosa di strabiliante e di notevole importanza: nonostante la nostra specie non sia molto antica dato che lo si vedeva dipingere nelle grotte non molto tempo fa, una inezia di qualche decina di migliaia di anni sulla scala cosmica, il numero di fossili di Sapiens ritrovati ammontano a non più di una decina o poco più (e soltanto di qualche parte della loro struttura ossea), a partire dai quali si è lavorato per induzione e con molta fantasia per offrirci immagini del loro corpo, volto e tantissimi altri dettagli, tra i quali il colore della loro pelle e relativa peluria.

Perché mi sono soffermato a dire che si tratta di qualcosa di strabiliante? Perché dei sauri che vissero cento o duecento milioni di anni fa, ne abbiamo reperito migliaia di fossili e persino degli scheletri completi, nonché delle loro uova a iosa, nonostante abbiano attraversato dei cataclismi geologici di ogni tipo, e che tutto ciò ci permise di meglio conoscere le loro sottospecie e buona parte delle loro abitudini alimentari.

Non ho trovato in letteratura degli esercizi scientifici che trattino in modo comparato il ridotto numero di fossili del Sapiens, rispetto alla vastità di quelli dei sauri. Interessante.

Se vogliamo accettare una teoria al riguardo, possiamo dire che del Sapiens non si trovano tracce perché quelle che si trovano a iosa sono delle nostre tracce, di qualcuno come noi, senza tappe intermedie. E ciò non fa storia ma riguarda la nostra preistoria. In altre parole, l’Homo è ciò che è, e ci deve bastare. In faccia all’evoluzione naturale, se non vogliamo addentrarci nella diatriba sulla nostra creazione ad hoc a partire da qualche modifica introdotta da qualcuno sugli ominidi precedenti.

Chiudendo questo succinto esame tra le componenti del tempo come fasi di un continuum quasi inafferrabile, dobbiamo ricordare che la fisica non pone dei limiti al suo evolvere, mentre che le religioni prospettano la fine dei tempi come il momento in cui avverrà il giudizio sul nostro operato, che comporterà un relativo premio o condanna. Non appare chiaro in quale contesto, dato l’aver postulato che il tempo era finito già in precedenza.