In questo anno ho presentato, da solo o in compagnia di qualche compagno di avventura, una serie di note riguardanti temi che ritengo d’interesse, come La Storia, Il Tempo, Scienza Tecnologia e Futuro, ed in fine l’Universo e la Vita.

Nell’ultima di esse mi sono occupato della vita intesa come una manifestazione della materia, capace di nascere, crescere, riprodursi e morire. Arrivando a postulare che la sua comparsa sulla Terra sia dovuta a un messaggio-istruzione, presente nella materia stessa e di conseguenza disponibile nell’intero universo, ma non mi sono detenuto ad analizzare le condizioni necessarie perché ciò avvenga. Lo faccio brevemente adesso:

- nella miriade di galassie presenti nel cosmo, ci saranno una miriade di pianeti orbitanti su qualche stella, potenzialmente disponibili ad alloggiare la vita;

- tra essi ci sarà qualcuno che disponga di acqua allo stato liquido, quindi di una pressione atmosferica e di una temperatura capaci di mantenerla in quello stato di aggregazione;

- tra questi ultimi ci sarà qualcuno di loro che disponga di un campo gravitatorio capace di trattenere la sua atmosfera evitando che essa si disperda nello spazio siderale;

- tra questi ci sarà qualcuno che riunisca le condizioni richieste dall’Algoritmo per sostentare la vita, come gli elementi chimici richiesti per la formazione dei tessuti organici, l’acqua, la luce e le radiazioni solari, la gravità, la temperatura, la pressione, etc.;

- tra questi pianeti particolarissimi ci sarà qualcuno in cui sia sbocciata la vita;

- tra questi ultimi ci sarà qualcuno che abbia potuto e saputo mantenere tutte le condizioni suddette, in modo tale da permettere la sussistenza della vita appena comparsa;

- tra questi ci sarà qualche pianeta in cui l’Algoritmo abbia consentito lo sviluppo della vita fino a produrre degli esseri molto complessi come la nostra fauna e flora;

- tra questi ci sarà qualcuno in cui l’Algoritmo Creatore abbia consentito la nascita e lo sviluppo di esseri intelligenti;

- tra detti pianeti privilegiati ci sarà qualcuno in cui tali esseri abbiano sviluppato le scienze e le tecnologie richieste per l’esplorazione dello spazio (ricordiamo che noi ci stiamo arrivando con fatica dopo tre miliardi e mezzo di anni dalla comparsa della vita sulla Terra);

- tra questi ultimi ci sarà qualcuno sufficientemente vicino a noi da consentire ai suoi abitanti di arrivare fino al nostro pianeta?

Per l’interpretazione del quadro esposto, la matematica ci orienta nel senso di avvertirci che le probabilità composte perché le condizioni previamente elencate si compiano in toto, sono praticamente nulle. In altre parole, le probabilità che la nostra specie Homo sia da sola nell’universo sono molto alte.

Ma trattandosi di probabilità, non dobbiamo dimenticare neanche che l’infinità del cosmo potrebbe comunque presentare altre forme di vita più o meno simili alla nostra. Certo, non nella misura sostenuta dagli ufologi, e men che meno con la presenza sui nostri cieli di esseri che respirino liberamente l’aria della nostra atmosfera senza i dovuti caschi o tute protettive.

Fatta la dovuta precisazione sulla vita tout-court, possiamo entrare a considerare la Vita nel senso esistenziale.

E qui mi riferisco a quella squisitamente riguardante il Sapiens, dotato della sua particolare corteccia cerebrale, rilegando l’esistenza di tutti gli altri esseri viventi (inclusi i vegetali) a ulteriori analisi.

Sono molte le incognite che tappezzano questo esame: chi siamo, cosa siamo e cosa stiamo a fare sulla Terra, dopo aver tentato di delucidare la nostra genesi come esseri intelligenti, ponendoci la domanda su chi ci abbia congeniati e perché.

Ed è da quest’ultimo quesito che dobbiamo partire. La nostra mente come residenza dell’ego è un frutto della nostra evoluzione biologica, o si tratta dello scopo ultimo dell’Algoritmo Creatore che ci ha portato a esistere?

Rispondere di sì alla prima domanda ci porta verso un vicolo senza uscita né prospettive, dato che come individui auto-creati non potremmo mai darci una ragione d’essere.Per contro, la seconda via appare meglio inserita in una matrice logica. Noi esisteremmo perché si tratta di qualcosa di previsto nel programma primigenio che dette origine alla vita.

Non ci rimane che speculare sulla nostra situazione: l’essere sta al vivere come il pensiero sta all’esistenza. Esistiamo solo perché pensiamo, e certamente non mi riferisco alle nostre funzioni vitali che in questo caso appaiono semplicemente necessarie, bensì alla nostra capacità di ragionare sul nostro ego e sull’universo che ci avvolge.

Bene, grazie alla corteccia che comprende il nostro cervello siamo dotati di raziocinio e ci troviamo nella possibilità di analizzare il nostro intorno e di analizzarci.

Oggi si fa un gran parlare delle difficoltà del rapporto maschio-femmina, alla luce delle tante atrocità perpetrate dai femminicidi dilaganti, in faccia alla tanto agognata e meritata emancipazione della donna, e alla loro acquisita (o in via di esserlo) parità sociale.

Per disquisire su questo argomento, mi sento obbligato a risalire agli aspetti sessuali comuni agli altri animali, dato che tra essi questo fenomeno non si presenta.

In realtà, e secondo il mio avviso, questa situazione apparve in concomitanza con l’uso indiscriminato della pillola anticoncezionale, tra le tante ragioni possibili. Questa usanza liberò sì la donna dal rischio di una maternità indesiderata susseguente a un rapporto sessuale (dal quale presse anche lei la sua dose di piacere), ma allo stesso tempo significò una alterazione storica delle proprie funzionalità in quanto femmine. Quelle tra loro che adoperano la pillola, si trovano mancanti di molti richiami e attributi legati alla loro condizione di femmine: sito, ad esempio, il richiamo ormonale alla riproduzione. In mancanza della normale ovulazione, questa assenza le lascia orfane del loro ruolo sociale primigenio di uniche capaci di generare un nuovo essere. Non secretando le ferormone di notifica del loro stato di fertilità, il maschio non è richiamato in quanto tale, e si accosta a loro soltanto per soddisfare la sua ben radicata sete di piacere sessuale, e le femmine si cullano nell’idea di poter gestire una tale situazione secondo le loro decisioni e volere, seguendo delle procedure “fai da te”. Inoltre, forse percependo delle titubanze negli avances della mascolinità attuale, loro stanno innovando nella antica arte della provocazione sessuale mediante l’esibizionismo del loro corpo e relativo succinto abbigliamento.

I maschi per conto loro, e ben lungi dal giustificarli, si trovano catapultati fuori dal loro ruolo di iniziatori e gestori di questo tipo di approccio, e finiscono per cadere di brutto nella barbarie al momento di vedersi rifiutati. Il tutto, a loro occhi, appare come una sconfitta vitale.

Certi chiamano patriarcato il suddetto atteggiamento dei maschi rispetto al presunto “dominio” sulle femmine, in modo improprio, dato che altro non è che l’ancestrale contratto tra le parti nel gioco del dare per avere. Tu fai la tua parte che io ti offro la sicurezza. Vetusto discorso in un mondo in cui la donna si è guadagnata, giustamente, la propria indipendenza economica.

In tutta onestà, non credo che l’attuale situazione possa evolvere positivamente soltanto mediante l’introduzione di materie propedeutiche come l’educazione sessuale scolastica e tanto altro, mai esistite lungo la nostra storia. La natura e l’Algoritmo Creatore hanno saputo e potuto dire la loro lungo millenni, ma a noi tocca cavalcare il progresso.

La società dovrà affrontare di petto la situazione e dare a Cesare quanto le appartiene. I ruoli non possono essere alterati a capriccio, in virtù del fatto che a dominare il nostro essere, e il nostro ego, non si trova soltanto il nostro cervello, ma che in primo piano deve poter agire il manuale d’uso della nostra persona che risiede nel nostro ipotalamo… noto anche come cervello del rettile.

Prima di continuare vorrei spendere qualche parola sulle scelte che compiamo sin dai nostri albori. Veniamo al mondo tramite i nostri genitori (a chi siamo grati), ma non gli abbiamo scelti, alla pari della nostra razza, colore della pelle, religione né contesto sociale o politico, o lingua, assenza o presenza di malattie o tare, etc.



Cosa sarebbe stato di noi se quelle condizioni originali fossero state diverse? Saremmo stati orgogliosi e fieri di quei doni avuti senza averli richiesti? Pure di quelli che poi facciamo passare come nostri e difendiamo persino coi denti?

A molti ci andò abbastanza bene, con una dotazione genetica nella media, ma lo stesso non possono dire coloro che sin dalla nascita trascinano menomazioni handicappanti. Il più delle volte detti accidenti sono dovuti alla legge dei grandi numeri (errori di ristampa del DNA), e quindi non attribuibili nemmeno a delle condizioni genitoriali precedenti. Ma quei poveretti si vedono costretti a trascinare i loro mali durante tutta la loro vita, magari senza nemmeno la consolazione di capire il proprio stato e le sue possibili ragioni, e senza il supporto interiore che gli aiuti nelle sofferenze, anche se le società ben strutturate non li abbandonano. Quali colpe sono chiamati a espiare? Spendo per loro un caro saluto fraterno nella speranza di fargli arrivare la mia umanità e calore.

Salva la posizione delle diverse religioni (monoteiste e non) che prospettano la nostra presenza come voluta da un Dio creatore, e che ai credenti che vivono nel rispetto delle regole e della moralità viene promesso un futuro accanto alla sua gloria. Detto quadro si completa con l’esistenza di una nostra probabile componente spirituale: l’anima. Essa, essendo per definizione immateriale, potrebbe seguire delle vie che esulano da questi miei proponimenti.

Precisato il chiaro e dovuto distinguo, e facendo astrazione del suo profondo significato, non ci resta che accettare umilmente di non essere che dei numeri. La nostra targa identificativa consistendo nella composizione del nostro DNA.

La considerazione precedente va trattata col dovuto rispetto, dado che essa ci riporta alle stesse condizioni che assegniamo a tutti gli altri esseri viventi. La nostra esistenza livellata tout-court a quella di una brava formica o di un feroce ghepardo. A noi resta la possibilità di auto-dolerci del nostro destino, a loro forse un po’ meno.

Avvicinandomi a concludere, vorrei spendere un pensiero rivolto alle nostre innumerevoli doti e abilità. Tra esse citerei la nostra appariscente e alle volte marcata aggressività. Sono trascorsi ormai diversi anni da quando mi soffermai a considerare il contenuto della nostra memoria incancellabile (le nostre ROM), depositate nel nostro ipotalamo. Tra esse citavo lo spirito di conservazione, come primo articolo del Manuale d’Impiego della nostra macchina biologica. Difendere e curare il nostro corpo fisico e psichico ad ogni costo. Ebbene, quest’autodifesa, se esacerbata da agenti esogeni può convertirsi velocemente in aggressione verso l’esterno e gli esterni. A prova di tutto ciò possiamo prendere ad esempio il comportamento di tutto il complesso di animali di cui facciamo parte. Nessuno di loro fa altro che difendersi e neppure noi. Accettiamo la nostra aggressività come un elemento positivo, curando di non ledere il prossimo e concedendogli lo stesso spazio che pretendiamo.

Tornando all’esistenza, dopo la morte come umani intelligenti, non avremmo un futuro al di fuori dal ricordo dei nostri posteri o dai nostri pensieri registrati nei meandri della storia. La morte ineludibile è l’ultimo valico che ci tocca attraversare, ed essa s’incarica di porre fine alle nostre angosce esistenziali, restituendo all’ambiente le nostre componenti chimiche, presse a prestito dalla placenta (nell’utero delle femmine di tutte le specie) al momento di comporre il nostro corpo, operazione che ormai potremmo delineare come la costruzione di un nuovo prototipo.

Tutto ciò, se non veniamo inceneriti come succede nella nostra società, trasformandoci in CO2 e violentando la natura anche dopo morti. Riconoscenze sincere a quelle società che destinano i corpi dei morti a essere sotterrati in scatole di cartone sotto gli alberi dei parchi, dando così la possibilità agli atomi e le molecole che costituirono il nostro corpo di entrare a far parte di altri organismi vivi. Detti componenti porterebbero in sé la memoria del nostro vissuto, secondo la vecchia scuola atomista.

Ma allora? e ritornando al nostro ego, qual è quello spazio nello spazio capace di alloggiare la nostra traccia come ospiti casuali del nostro pianeta e quindi dell’universo? Dei nostri programmi di vita e relativi trionfi e sconfitte, dei nostri sentimenti e le nostre passioni, delle azioni compiute seguendo i richiami del libero arbitrio, delle nostre conoscenze e progressi, della nostra prole portata a vivere seguendo il richiamo imperioso della riproduzione, premiato col piacere sessuale e tanto ben impresso dall’Algoritmo nel nostro ipotalamo, dei nostri pensieri, teorie e speculazioni su ogni argomento che la vita ci abbia proposto? Non abbiamo riscontro (sinora) di un simile spazio nell’ambito della materia chiara, e nemmeno tra quello della materia scura. In qualche campo energetico?

Terminato il nostro ciclo, l’Algoritmo fa tesoro delle nostre migliorie registrate nel nostro DNA, includendole nel patrimonio genetico delle generazioni che verranno. Processo che potremmo definire come l’ottimizzazione delle macchine biologiche da lui impiegate per tramandare il suo messaggio recondito, presente nel nocciolo duro della doppia elica di tutte le specie animali e vegetali.Fin qui ho presentato un sunto sulla nostra esistenza come individui e sulla nostra fine, ma ne esiste un’altra esistenza che riguarda la vita in ogni suo significato e il suo destino ultimo. Ed è quello che io chiamo La Morte Cosmica.

Qualcosa che avverrà tra qualche miliardo di anni, quindi nulla che ci faccia perdere il sonno, ma un appunto destinato ai pensatori. Essa consiste nella trasformazione del nostro sole in una nana bianca e la sua relativa esplosione, seguendo l’evoluzione di tutte le stelle come ci insegna l’astrofisica. Detta esplosione libererà una immane quantità di energia che provocherà la distruzione del nostro intero sistema planetario, riducendolo in buona parte a gas e pulviscolo. Ogni particella di materia (quindi pure quella dei corpi dei fortunati abitanti che sarebbero arrivati fino a quell’evento), verrà annientata o trasformata in energia, andandosene a girovagare per l’universo in attesa di essere fagocitata da qualche stella o buco nero.

Quindi, di tutta l’esistenza che ci coinvolse come creature pensanti, compresi i nostri affanni, non rimarrà che la componente che ci generò: la materia. Ed essa diffonderà nell’universo il suo messaggio-istruzione, in cerca di un sito adatto a ricreare ancora una volta la vita e le vicissitudini di nuovi esseri, che a loro volta speculeranno sull’esistenza. In secula seculorum.